Nel linguaggio cinematografico il primo piano viene usato comunemente per mettere al centro il soggetto, la persona, e consentire allo spettatore di avvicinarsi ai personaggi della messa in scena.
In Torbido questo espediente fotografico-linguistico viene portato all’eccesso: il volto ingigantito, sgranato, quasi disumanizzato diventa un elemento spiazzante e spinge la gente ad interrogarsi su cosa sta realmente osservando: il soggetto delle immagini è totalmente decontestualizzato, diventa inafferrabile, inconoscibile. Installare queste immagini per strada, lungo i marciapiedi e sui muri degli spazi urbani rende la visione ancora più precaria ma, al contempo, frutto di una scelta intenzionale.
Le immagini si rivelano lentamente, interrogano gli schemi percettivi delle persone: cosa fa pensare un volto asiatico in questo preciso momento storico? La gente viene messa all’angolo, tra paure e pregiudizi, trasformando questi faccioni inconoscibili nello specchio del proprio inconscio.